La nozione di “insubordinazione” ai fini del licenziamento
Quanto alla rilevante nozione di insubordinazione – il cui concetto va determinato anche alla stregua dell’accezione lessicale e del significato del termine nel linguaggio giuridico ed in quello corrente – la stessa non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma ricomprende qualsiasi comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione e il corretto svolgimento delle suddette disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale.
La S. Corte ha ritenuto erronea in diritto la tesi per cui l’insubordinazione dovrebbe essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori gerarchici; la violazione dei doveri del prestatore riguarda non solo la diligenza in rapporto alla natura della prestazione, ma anche l’inosservanza delle disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore o dai suoi collaboratori (art. 2104 cod. civ.).
Nella vicenda in esame, è stata ravvisata un’ipotesi di insubordinazione nella condotta minacciosa indirizzata alla responsabile amministrativa della società datoriale, sebbene realizzatasi al di fuori dell’orario di lavoro, in quanto era stata tenuta nei locali aziendali ed in riferimento ad aspetti che afferivano comunque all’osservanza di disposizioni interne circa l’uso di beni aziendali.
Corte di cassazione, Sezione Lavoro, sentenza del 1 luglio 2020, n. 13411, Blasutto, Rv. 658443-01.