Minori: no all’aggiunta del cognome materno senza il consenso del padre
Benché il nostro ordinamento preveda la possibilità di presentare l’istanza di cambiamento di cognome per conto del minorenne, tuttavia, detta istanza può essere presentata da entrambi i genitori in quanto esercenti la potestà genitoriale, o anche da uno dei due “purché detta istanza sia accompagnata dal consenso dell’altro genitore.
È quanto ha stabilito il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, con la sentenza del 26 novembre 2018, n. 11410, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato il provvedimento della prefettura di Rieti di diniego dell’aggiunta del cognome materno al minore in assenza del consenso dell’altro genitore.
La vicenda
La pronuncia in esame ha avuto origine dal fatto la sig.ra TIZIA CICERO con ricorso del 2013 ha adito il TAR Lazio al fine di ottenere l’annullamento del decreto del Prefetto della Provincia di Rieti del marzo 2013 con cui è stata respinta l’istanza volta ad ottenere l’aggiunta del cognome materno “CICERO” al cognome paterno “CATONE”, in favore del figlio minore CAIO.
Espone in fatto che il figlio, nato dalla relazione con MEVIO CATONE, e da questi legalmente riconosciuto, è stato lei affidato allorquando la convivenza tra loro veniva a cessare nel mese di marzo del 2012.
A causa del disaccordo tra i due, i rapporti genitoriali venivano regolati dal Tribunale per i Minorenni di Roma che, con decreto del 13 marzo 2012, disponeva l’esercizio congiunto della potestà genitoriale, fermo restando il collocamento del minore presso la madre.
Nel 2012 la sig.ra CICERO presentava, dunque, l’istanza tendente ad ottenere l’aggiunta del cognome materno a quello paterno in favore del figlio, al fine di vedere riconosciuto il suo ruolo genitoriale, senza incidere sulla situazione acquisita e sull’originario cognome paterno del bambino.
Espletata l’istruttoria, la Prefettura di Rieti comunicava alla ricorrente, con avviso ex art. 10 bis, l. n. 241/1990, che il padre del minore aveva proposto formale opposizione all’istanza di cambiamento del cognome.
I motivi di ricorso
La ricorrente con il primo motivo ha dedotto carenza, illogicità e difetto di motivazione per violazione degli artt. 1 e 3, l. n. 241/1990. Sviamento del potere, in quanto l’amministrazione non avrebbe consentito alla ricorrente di conoscere le ragioni dell’opposizione dell’altro genitore.
Con il secondo motivo ha dedotto erroneità ed illogicità della motivazione per violazione dell’art. 89, d.p.r. 2 novembre 2011, n. 396, nella lettura costituzionalmente orientata offerta da Corte Costituzionale nella decisione n. 61/2006.
Con il terzo motivo ha dedotto erroneità della motivazione nella misura in cui ha ritenuto indispensabile il consenso dell’altro genitore, come disposto dalla circolare n. 15/2008.
La decisione
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio con la menzionata sentenza n. 11410/2018, ha ritenuto i motivi non fondati e ha rigettato il ricorso.
Sui punti controversi il Consesso ha osservato che il nostro ordinamento riconosce il diritto al nome (art. 6 c.c.), nel binomio comprensivo del prenome e del cognome, e ne prevede la tutela (artt. 7 e 8 c.c.), intesa non tanto come tutela del segno distintivo della persona ma come tutela dell’identità personale.
L’art. 6 del Codice civile, nell’ esprimere il favor per la certezza e la stabilità del nome – con l’evidente intento di salvaguardare l’interesse pubblico alla certezza dello status ed all’agevole individuazione delle persone – al comma terzo, consente “cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome”, nei soli casi e con le formalità previste dalla legge ordinaria.
L’art. 89, comma 1, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396 , come da ultimo modificato dal D.P.R. 13 marzo 2012, n. 54, stabilisce, a tale riguardo che: “salvo quanto disposto per le rettificazioni, chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l’origine naturale o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l’ufficio dello stato civile dove si trova l’atto di nascita al quale la richiesta si riferisce. Nella domanda l’istante deve esporre le ragioni a fondamento della richiesta”.
La giurisprudenza amministrativa ha così avuto modo di chiarire che la domanda proposta ai sensi dell’art. 89, d.p.r. n. 396/2000 può essere sostenuta anche da intenti soggettivi ed atipici, purché meritevoli di tutela e non contrastanti con il pubblico interesse alla stabilità ed alla certezza degli elementi identificativi della persona e del suo status giuridico e sociale (ex plurimis, Consiglio di Stato, III, 15 ottobre 2013, n. 5021).
Secondo la pacifica giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr., Consiglio di Stato, IV, 27 aprile 2004, n. 2752; 26 giugno 2002, n. 3533), ancora, “il diniego ministeriale di autorizzazione al mutamento di nome, ai sensi degli artt. 153 e seguenti del R.D. 9 luglio 1939 n. 1238, costituisce, (…), provvedimento eminentemente discrezionale, in cui la salvaguardia dell’interesse pubblico alla tendenziale stabilità del nome, connesso ai profili pubblicistici dello stesso come mezzo di identificazione dell’individuo nella comunità sociale, può venire contemperata con gli interessi di coloro che quel nome intendano mutare o modificare nonché di coloro che a quel mutamento intendano opporsi.
Dalla natura discrezionale dell’impugnato provvedimento di diniego discende – come logico corollario – che il sindacato giurisdizionale dello stesso può essere condotto, quanto al vizio intrinseco dello sviamento, sotto il limitato profilo della manifesta irragionevolezza delle argomentazioni amministrative o del difetto di motivazione” (così, Consiglio di Stato, IV, 26 aprile 2006, n. 2320).
Nel caso qui in esame, il provvedimento prefettizio di diniego all’aggiunta, al cognome paterno del figlio minore, del cognome della madre, motivato sulla base dell’opposizione del padre, non appare a questo collegio affetto da alcun vizio manifesto.
La richiesta del cambiamento di cognome, in ipotesi di soggetto minorenne, deve necessariamente provenire dai soggetti che ne hanno la rappresentanza legale, quindi, nel caso di specie dagli esercenti la potestà genitoriale.
Nel caso in cui vi sia accordo tra i medesimi trovano senza dubbio applicazione i principi sopra affermati da ultimo dai giudici costituzionali nella decisione n. 286/2016, di modo che deve senza dubbio essere riconosciuta la possibilità di trasmettere ai figli, e quindi, di aggiungere al cognome paterno, anche il cognome materno.
In caso di disaccordo, all’opposto, tali principi non sono immediatamente applicabili.
Si deve avere riguardo, a tale proposito, alla norma dell’art. 320 c.c. sulla rappresentanza e amministrazione dei beni dei figli, secondo cui i genitori esercitano “congiuntamente” (salvo l’ipotesi, che non ricorre nel caso de quo, dell’esercizio in via esclusiva della potestà genitoriale) i poteri di rappresentanza dei figli “in tutti gli atti civili”.
La richiesta di modifica del cognome del figlio minore, integrando un “atto civile”, può essere presentata, allora, dai genitori solo nell’esercizio della rappresentanza legale che trova la sua fonte e disciplina nell’art. 320 c.c., di guisa che deve ritenersi a tal fine imprescindibile il consenso di entrambi i genitori, fatto salvo solo il caso – che qui non ricorre – in cui uno di essi sia stato privato della potestà genitoriale.
In caso di disaccordo, stabilisce, in ultima analisi, l’art. 320, comma 2, c.c., si applicano allora le disposizioni dell’art. 316 c.c., che per il caso di contrasto su questioni di particolare importanza prevede la possibilità, per ciascuno dei genitori, di ricorrere senza formalità al giudice civile.
In conclusione, in riscontro al terzo motivo di gravame, il Consesso ha precisato che la circolare ministeriale n. 15/2008 prevede espressamente la possibilità di presentare l’istanza di cambiamento di cognome per conto del minorenne, ribadendo, pur tuttavia, in armonia con i sopra affermati principi, che la stessa può essere presentata da entrambi i genitori in quanto esercenti la potestà genitoriale, o anche da uno dei due “purché detta istanza sia accompagnata dal consenso dell’altro genitore”.
⇒ La circolare contempla, quindi, due ipotesi eccezionali in cui l’istanza può essere positivamente valutata dal Prefetto ancorché presentata da uno solo dei due genitori: l’ipotesi di perdita della potestà genitoriale da parte dell’altro, che non ricorre nel caso de quo, e l’ipotesi di istanza motivata sulla base di “peculiari circostanze familiari, adeguatamente comprovate, tali da arrecare pregiudizio o danno al minore” che, con motivazione sul punto esente da vizi di legittimità, il Prefetto non ha ritenuto ravvisabile nella mera circostanza dell’esistenza di una situazione conflittuale tra i genitori del minore.